Blog

Colombabà&Friscous gli incroci del cibo

Francesco Rigatelli – Firenze

Passeggiando per le navate della Leopolda di Firenze, dove lunedì si è chiuso Taste, la fiera di Pitti che con la consulenza del gastronauta Davide Paolini seleziona i più raffinati produttori di prelibatezze italiane, si nota una tendenza curiosa.

L’ingegno nazionale si concentra sull’incrocio, che spesso combacia con un ritorno alle origini. È il caso del salame rosa o di mortadella. «Era scomparso e abbiamo deciso di riportarlo in negozio», raccontano i giovani fratelli Scapin di Bologna, che dalla piccola bottega Artigianquality di via Santo Stefano hanno aperto un laboratorio fuori città per fare i salumi come una volta. Ecco allora la mortadella classica, quella di mora romagnola, la bio, al tartufo nero, al pistacchio e appunto il salame. Per quest’ultimo si utilizzano parti di spalla, gola e prosciutto tagliati in punta di coltello, che uniti all’impasto per mortadella danno forma a un delicato incontro tra prosciutto cotto e mortadella.

A sfidare la tradizione, e l’ira campana, ci pensa Nicola Rendine, una carriera nei latticini e ora imprenditore con Mò bufala. Ad Andria lui ha riportato la razza un tempo donata ai Borboni e oltre ai classici mozzarelle e bocconcini propone la burrotta, una burrata con dentro la ricotta. Tutta di bufala, ovviamente: «La novità passa per Andria – racconta –, che ha sempre avuto una forte tradizione vaccina. Il nostro è un formaggio lento con l’innesto di fermento lattico pugliese. Dopo la maturazione la pasta viene tagliata e, nella filatura della pasta, la mozzarella transita in salamoia che le attribuisce il carattere».

Altro profanatore della Campania è il pasticciere Gabriele Ciacci, che con la compagna Elisa ha fondato a Poggibonsi, vicino Siena, Opera waiting per innovare nel suo settore. La colomba, in attesa della Pasqua, diventa così colombabà, bagnata nel rum in omaggio al dolce partenopeo. E anche qui si trova un’idea di recupero, perché panettoni, torte e biscotti sono fatti con cereali e vecchie varietà toscane. Non è solo una questione culturale, ma anche di valori e rinnovamento di sapore. Recentemente sono le panfette, fette biscottate realizzate con pasta madre e grani antichi, il panettone salato con plancton marino, capperi, olive e limone candito, nonché i croissant confezionati senza conservanti con la pasta del panettone.

Medesima idea di incrocio e recupero sta dietro il mix di semole e farine di grano duro trasformate dai molini pugliesi, che a Ruffano vicino Lecce crea il friscous, un po’ frisella un po’ cous cous con l’aggiunta di curcuma. A forza di cucinarlo e far assaggiare se vuoi ai clienti, invece, a Monasterolo di Savigliano vicino Cuneo, Claudio Olivero si è messo a commercializzare lo zabaglione Olivero Claudio, nella versione tradizionale piemontese al moscato e in quella al passito, detta Sanbay, ricordando la ricetta originaria di Fra Pasquale De Baylon, da cui la crema di San Baylon, divenuto poi sabayon o zabaglione.

Altri estrosi sono i modenesi dell’aceto balsamico Giusti, che oltre al panettone al balsamico propongono un nuovo vermouth invecchiato nelle botti dell’oro grigio modenese. I Bibanesi, piccoli grissini trevisani, ora si fanno anche alla pizza. I sciuclloni, i peperoni recuperati in memoria del nonno di Pietro D’Elia a Teggiano, tra Campania e Basilicata, diventano chips e, non lontano, in Irpinia, i ragazzi di Cannavacciuolo affinano torte rigorosamente di marron glacé e, sull’onda della contaminazione, con un caciocavallo a forma di uovo di Pasqua.